Nell’ultima settimana ha scatenato parecchie reazioni la vicenda giudiziaria che ha coinvolto The Pirate Bay, conclusasi con una condanna dei quattro responsabili del sito. Pirate Bay è un tracker svedese di BitTorrent, in sostanza una sorta di motore di ricerca che indicizza file .torrent, consentendo di rintracciare i contenuti condivisi nelle macchine in rete e fornendo quindi i link per copiare materiale audio/video protetto da diritto d’autore.
Il 17 Aprile il tribunale di Stoccolma ha sentenziato la violazione delle leggi sul copyright da parte dei quattro responsabili, condannandoli a un anno di detenzione più il versamento di 2,7 milioni di euro di risarcimento alle imprese costituitesi parte lesa, fra cui Warner Bros, MGM, Columbia Pictures, 20th Century Fox, EMI, Universal e Sony BMG (a fronte di una richiesta danni di superiore ai 9 milioni di Euro). La linea difensiva di TPB ha provato a sostenere la classica tesi a cui storicamente, a partire dal caso Betamax, si sono appellati i produttori di tecnologie utilizzate per copie non autorizzate. Come ricorda Marco Gambaro la tesi si fonda sostanzialmente sul principio che chi crea una tecnologia di copiatura non può essere ritenuto responsabile per l’uso eventualmente illegale che ne viene fatto. In questo caso la difesa ha sostenuto che, non ospitando sui propri server i file e funzionando solo da motore di ricerca per individuare i link, il sito non poteva essere ritenuto responsabile del file-sharing di contenuti tutelati da copyright. Tuttavia i giudici hanno ritenuto che il sito favorisse in diversi modi la diffusione di materiale protetto, e quindi corresponsabile dei download illegali. Ad esempio, a differenza di Google, Pirate Bay organizza i propri indici focalizzandosi sui file torrent, che spesso indirizzano a contenuti pirati. Alcuni articoli individuano un ulteriore elemento di dolo nel profitto tratto dai gestori, attraverso pubblicità e donazioni degli utenti. Dunque il fatto di non ospitare contenuti pirata sui propri server sembra non costituire più una cautela sufficiente, come dimostrano questa ed altre sentenze che ratificano una corresponsabilità delle piattaforme. In attesa del già annunciato ricorso in appello, The Pirate Bay segue dunque la caduta di Napster, Kazaa e Audiogalaxy.
Come detto la sentenza ha ovviamente suscitato le reazioni che potete immaginare da parte di blogger e utenti della rete (fra i tanti: Jim Markunas, per il quale “although piracy is wrong on a lot of levels, it simply cannot be stopped in a cost effective and/or mutually beneficial manner”). Tuttavia vorrei portare l’attenzione su un commento che trovo particolarmente significativo, in quanto proveniente da Enzo Mazza, presidente della Federazione Industria Musicale Italiana, pubblicato tre giorni fa su Punto Informatico. Ne riporto di seguito alcuni stralci (naturalmente vi invito anche a leggerlo per intero).
“[….] questa decisione dovrebbe far riflettere tutti sulla necessità di superare una fase di scontro totale basata su teorie anacronistiche come "fine del copyright", "estinzione delle imprese che producono contenuti" ed altre espressioni estreme che non consentono lo sviluppo di un sereno dibattito sull'evoluzione dell'e-content […] In molti articoli e commenti susseguiti alla decisione di Stoccolma si è posto il confronto tra due presunte filosofie inconciliabili: la libera condivisione dei contenuti da una parte e la distribuzione fisica di CD, nonché il modello tradizionale dell'industria musicale, come se non esistesse qualcosa nel mezzo. La realtà è oggi molto, molto diversa, e lo dimostra proprio l'evoluzione dei modelli di business in atto nel settore discografico, certamente più articolati e flessibili rispetto soltanto a uno o due anni fa. […]
Se oggi guardiamo invece in profondità a ciò che avviene nel settore musicale notiamo un processo di innovazione spinto che non ha confronti con altri settori dei media e che dopo anni di errori strategici, purtroppo dovuti anche al fatto di doversi confrontare per primi con una rivoluzione radicale, comincia a mostrare i primi frutti. Una campagna di lancio e promozione di un album oggi non può prescindere ormai da Twitter, Facebook, YouTube, anticipazioni free sui maggiori portali, partecipazioni degli utenti al processo creativo di un video o di un intero album” [enfatizzazione mia]. “Milioni di brani sono offerti senza DRM su piattaforme di download con community sempre più attive come quelle create da Dada e di nuove offerte come Comes with Music di Nokia.
Ma torniamo all'istruttiva vicenda di The Pirate Bay e notiamo come molti autorevoli commentatori siano caduti nella trappola mediatica di Sunde e soci che si sono posti come gli eroi di una saga nordica nella quale elfi buoni della foresta si battono e vincono contro l'impero di ghiaccio, immutabile e statico della regina della neve che tutto copre e ingessa. La vittoria degli elfi avrebbe significato sole, fioritura, cielo azzurro. La vittoria della regina della neve ha significato nuvole nere, grigiore e acque ghiacciate e inaccessibili con morte e desolazione per il popolo del bosco. Identificare The Pirate Bay come il difensore della causa degli oppressi della rete è un grave errore perchè non produce nulla di costruttivo. Sarebbe come dire che le Brigate Rosse sono state utili alla causa dei lavoratori” [enfatizzazione mia] “peraltro, il finanziatore di TPB, Karl Lundstrom, risulterebbe essere un attivista del partito neo nazista e xenofobo svedese, quindi tutt'altro che un difensore delle libertà civili.
Affermare poi che The Pirate Bay è un intermediario senza un ruolo attivo e come tale soggetto alle esenzioni della direttiva e-commerce è un errore. Paragonare Pirate Bay a Google è strumentale perché anche un soggetto con poca dimestichezza ne nota le immense differenze. Se vogliamo usare termini semplici Google è come le pagine gialle con l'elenco delle banche. The Pirate Bay è invece il palo che cura la banca mentre i complici la rapinano” [enfatizzazione mia]. “Google, così come YouTube, eBay ed altri, sono solerti ed attivi nel rimuovere i contenuti illeciti su segnalazione degli aventi diritto e operano quindi in un contesto che favorisce l'uso legittimo dei contenuti e disincentiva l'uploading illecito. The Pirate Bay ha sempre escluso ogni forma di cooperazione ed ha invece favorito ogni sorta di abuso da parte degli utenti, vantandosene in ogni contesto. […]Lo stesso dibattito si ebbe in occasione di Napster e di Kazaa ma non mi risulta che la rete abbia risentito in termini di sviluppo dalle condanne inflitte mentre invece si è stabilizzato e consolidato un mercato legale sempre più interessante”. [su questo punto mi sorge una domanda, niente affatto retorica ma interessata a verificare la considerazione che sembrerebbe qui sottesa: è possibile misurare se/quanto le condanne di Napster e Kazaa abbiano contribuito a stabilizzare e consolidare il mercato legale?]. “Non è il copyright a frenare lo sviluppo dell'offerta online, anzi, esso si adatta al mutare delle tecnologie, basti vedere i modelli di licensing di contenuti che hanno avuto incentivo dall'apparire di nuovi modelli di business.” [stavolta la domanda non è retorica: è il copyright che si adatta alle tecnologie o sono i soggetti interessati ad adattare il copyright alla propria visione delle tecnologie e dei modelli di business appropriati? Sono le tecnologie a esprimere autonomamente le opportune direzioni di sviluppo delle normative o le persone e i diversi gruppi di interesse che le usano?]. “Proprio in questi giorni FIMI diffonderà il rapporto sulla musica digitale nella versione italiana e sarà l'occasione per toccare con mano l'evoluzione di un settore che non ha più al centro della propria politica industriale solo il CD e le dinamiche commerciali tradizionali, ma un'ampia gamma di servizi e di offerte basate su filosofie che includono free download, abbonamenti flat, free streaming, carte prepagate, integrazione TV e web, UGC, ecc. Tutt'altro che lo scenario di resistenza al cambiamento che è stato il leit motiv di molti autorevoli commenti pubblicati su queste ed altre pagine della rete”
E’ vero. L’industria musicale sta finalmente sperimentando, in modo e misura diversa a seconda dei soggetti ma senz’altro con un approccio molto differente rispetto al passato (e non potrebbe essere altrimenti). Alcuni modelli sono davvero innovativi ed estremamente interessanti. Qui però c’è anche un altro punto che mi sembra interessante, un’altra domanda (non retorica) su cui forse vale la pena riflettere: quali sono gli aspetti di sistema e i principi fondanti dell’industria musicale che possono essere legittimamente messi in discussione e quali sono invece da ritenersi intoccabili? E per quale motivo? Cosa distingue i dibattiti sul copyright da quelli sui modelli di business?
A proposito dalla roba di Mazza: ben scritta, Mazza è intelligente, ma ti rimando qui: http://blog.kaplak.com/2009/04/07/google-as-in-massive-copyright-infringemen/
Morten dice: Google e The Pirate Bay fanno la stessa cosa, cioè indicizzano metadati. Nessuno dei due chiede permesso ai proprietari di quei dati. Quindi, entrambi violano il copyright tradizionalmente inteso. Secondo IFPI, a Google non fanno causa perché Google collabora. Giuridicamente sembra un po' la legge della giungla. Che va bene se sei il lupo, come IFPI (e Mazza): un po' meno bene per tutti gli altri. La mia fidanzata è svedese, e dice che in Svezia questa sentenza è molto malvista, anche perché cade nello stesso periodo in cui si è scoperto che il governo faceva negoziati segreti su ACTA.
Posted by: Alberto Cottica | 04/27/2009 at 10:50 AM