Nell’ultimo anno testate come Wired, The Economist e Nova del Sole24Ore hanno dedicato più di un articolo al fenomeno dei videogame musicali, e in particolare all’eclatante successo di Guitar Hero (nato nel Novembre 2005) e ora anche di Rock Band (Novembre 2007, stesso team di sviluppatori ma per una diversa software house: MTV Games).
Di cose da dire ce ne sarebbero molte, dato che il fenomeno tira in ballo molti aspetti del music business (licensing, promozione e distribuzione di contenuti musicali) e non solo: l’investimento su icone della cultura e della tradizione rock (la band, il guitar hero); nuove modalità di fruizione della musica; piaceri ed esperienze musicali immersive; le relazioni fra star(-system) e fan(dom); persino le dinamiche di apprendimento della pratica musicale (sia perché i giochi prevedono una modalità “esercitazione” per le canzoni particolarmente difficile, sia perché molti articoli riportano casi in cui i giochi hanno incentivato lo studio di ‘veri’ strumenti).
Il successo è stato tale da indurre la creazione di collane, includenti numeri monografici dedicati a star del passato (es. Aerosmith, Iron Maiden e Metallica per Guitar Hero, i Beatles per il numero di Rock Band previsto per fine 2009). Molti articoli hanno evidenziato come le vendite di questi giochi superino quelle dei cd degli artisti coinvolti (l’esempio sempre riportato è il monografico di Guitar Hero dedicato agli Aerosmith). Un esempio del “better than free” suggerito da Kevin Kelly? Ossia: visto che la musica è gratuita ecco un’esperienza musicale più ricca, in cui la dimensione ludica e immersiva aggiungono valore ai contenuti. Uno strumento ideale per rockstar ‘storiche’ che hanno un brand da spendere ma non molto di nuovo da proporre sul piano creativo: meglio allora un videogioco, in grado oltretutto di attrarre diversi segmenti di mercato, piuttosto dell’ennesimo ‘greatest hits’. Dai videoclip (ancora logica ‘push’) ai videogame (‘pull’)?
In realtà in un articolo di un paio di mesi fa Jeff Howe sottolineava come alcune imprese fonografiche guardino ai videomusigame più come mercato che come strumento di (pull) marketing. Howe riporta in particolare il caso della Warner, il cui CEO si è lamentato in passato dei compensi troppo bassi che le software house corrispondono alle etichette per il licensing dei contenuti musicali di cui detengono i diritti. E’ interessante notare che per una volta, nell’articolo, non vengono dati tutti i torti ai discografici accusandoli d’ingordigia; ciononostante Howe ritiene più opportuno puntare a chiedere una maggiore partecipazione al processo creativo, finalizzata ad ottimizzare l’integrazione dei videogiochi nelle strategie promozionali e distributive, anziché cercare solo di massimizzare i ricavati. E’ stato probabilmente questo il senso dell’acquisizione a fine 2007 della Activision (editore di Guitar Hero) da parte della Vivendi, proprietaria della Universal, nonché già editore di World of Warcraft
D’altra parte l’utilizzo di musiche originali nei videogiochi in genere, un settore che dalla fine del decennio passato a metà dell’attuale è cresciuto in media del 25% ’anno nella fascia d’età 18-34, è andato assumendo un ruolo sempre più importante, trainando in alcuni casi il successo di alcune canzoni (un po’ come succedeva negli anni novanta con gli spot pubblicitari). Significativa alla fine del 2004 la joint venture della Electronic Arts (più colosso dell’intrattenimento che software house) con la Cherry Lane Music Publishing (uno dei maggiori editori di musica indipendente) per la creazione di Next Level Music, società dedita all’ampliamento e allo sfruttamento commerciale del catalogo musicale, non solo tramite videogiochi ma spot pubblicitari, film, tv, ecc. (tutto tranne che cd musicali…)
Quindi, in sostanza, abbiamo da un lato videogiochi non specificamente musicali funzionali al marketing di nuovi artisti, dall’altro videogame musicali che supportano soprattutto quello di star affermate. Tornando a questi ultimi, mentre critici come Bob Leftsez ritengono che si tratti di una moda, personalmente credo che i videogiochi musicali segnalino una tendenza che si svilupperà dando vita a nuove declinazioni. Una possibilità a cui fa riferimento Howe, e che anch’io menziono nel mio libro, consiste nell’estendere alla sfera compositiva la performatività degli utenti: le etichette potrebbero fornire le tracce dei singoli strumenti delle canzoni e lasciare agli utenti la possibilità di elaborare le proprie versioni, ipotizzando uno sbocco commerciale a pratiche già ampiamente diffuse in rete. Inoltre le consolle dei videogiochi possono essere utilizzate come piattaforme distributive, integrando in modi inediti promozione, gioco, acquisto. D’altra parte la dimensione ludica è sempre più al centro delle nuove strategie promozionali “web 2.0”, come mostrano il widget marketing e –soprattutto- gli advergame.
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