Dopo l'osservazione delle piattaforme di crowdfunding musicale più popolari in ambito internazionale vediamo due casi italiani: Produzioni dal Basso e Sold Out Music.
Risale all’inizio del 2005 l’inaugurazione ufficiale di questa piattaforma italiana, uno dei modelli più originali fra quelli presentati. A livello concettuale le differenze sono rappresentate dalla presa di distanza dalle idee di “business” e di “produzione”, che caratterizzano buona parte delle iniziative di crowdfunding musicale citate nel post precedente, sostituite da “strumento” e “autoproduzione”. L’unicità di PdB consiste nel limitarsi ad offrire una vetrina in cui gli artisti espongono i propri progetti -musicali e non solo - chiedendone il finanziamento, gestendo poi in modo diretto e autonomo sia i rapporti con gli altri utenti, sia la realizzazione del progetto. Dunque nessuna gestione centralizzata delle transazioni, nessun “format” predefinito circa l’iter di finanziamento e di produzione, nessun intervento da parte della piattaforma sulla realizzazione e sullo sfruttamento commerciale dell’output finale. I proponenti sono liberi di stabilire sia la somma che desiderano raggiungere, per finanziare in toto o in parte il progetto, sia il valore dei singoli microfinanziamenti. Ad essi viene richiesto soltanto di specificare il tempo di permanenza online del progetto, la stima di tutti i costi di produzione (incluso l’eventuale guadagno dell’artista), l’eventuale tiratura che si intende realizzare (di cd, libri, t-shirts, ecc…, ma possono essere chiesti fondi anche per film ed eventi), il numero minimo di unità prenotate raggiunto il quale il progetto andrà in produzione (coincidente o meno con l'intera tiratura), nonché il sistema di distribuzione di tali unità ai finanziatori. Per i progetti musicali il microfinanziamento si configura quindi come un pagamento anticipato della copia prenotata. Inoltre costituisce un offerta e non un investimento, come in ArtistShare, in quanto non è previsto alcun ritorno agli utenti sui profitti derivanti dai possibili sfruttamenti economici del prodotto. Una volta raggiunto il numero minimo di copie necessarie alla produzione PdB si limita ad invitare gli utenti-finanziatori ad effettuare i pagamenti direttamente all’artista secondo le modalità scelte (bonifico, paypal, ecc…), nonché a comunicare al proponente l’elenco completo dei finanziatori e dei loro indirizzi per poter effettuare la distribuzione. Da un lato ciò comporta un servizio totalmente gratuito: alla piattaforma non spetta nessuna commissione sui fondi raggiunti, nessuna percentuale sui profitti, nessun tipo di licenza sui diritti. Dall’altro sembra evidente il rischio di disfunzioni, dal momento che non esiste alcun modo per garantire l’effettivo versamento, al di là dell’impegno formale preso degli utenti; PdB in effetti non risponde del mancato versamento della cifra corrispondente alle unità prenotate, ed evidentemente questo è solo uno dei possibili problemi. Tuttavia i rischi derivanti da questo eccessivo decentramento, o disintermediazione, sono stati notevolmente attenuati dal fatto che la partecipazione “dal basso”, non alimentata da incentivi economici, ha trovato riscontro presso un tipo di utenza che ha sposato l’approccio della piattaforma: non un’impresa con un suo modello di business ma un puro e semplice strumento, autofinanziato, a disposizione di progetti di autoproduzione. Una scelta dovuta in buona parte a un preciso orientamento (l’ideatore, Angelo Rindone, aveva già operato nell’autoproduzione, interessandosi anche ai nascenti creative commons), in parte anche alla scarsa fiducia nella possibilità di generare margini di guadagno tali da giustificare un approccio diverso.
Dopo i primi due anni, con l’esplosione del web 2.0, la piattaforma non è più stata seguita ed aggiornata dai suoi creatori, pur continuando –cosa interessante- ad essere utilizzata dagli utenti, artisti e finanziatori. Oggi, dopo ben 54 progetti prodotti e a quasi cinque anni dalla nascita, Rindone e le persone che collaborano a PdB stanno preparando un sostanziale restyling per inizio 2010, senza però intaccare le peculiarità del modello e la sua filosofia di fondo, annunciata già nel nome: nuove comunità economiche. La “sola” ambizione di questo progetto, sempre autonomo e autofinanziato, consiste nel verificare quanto la rete possa creare comunità entro cui esplorare nuove economie su progetti condivisi, individuando anche forme di integrazione con fenomeni quali -ad esempio- i gruppi di acquisto solidale.
La presentazione sul sito definisce “Sold Out Music” come una community musicale, nonché come un’alternativa ai percorsi di selezione e produzione svolti dalle etichette. Gli artisti possono proporsi per la registrazione professionale di un album uploadando nelle loro personal pages al massimo 3 canzoni, inedite e non depositate alla SIAE, ascoltabili in streaming dagli utenti, definiti scout a partire dal versamento della prima quota. Il “sold out”, ossia il traguardo economico stabilito dalla piattaforma per dare il via alla produzione, è di € 20.000, ripartito in 4.000 quote da € 5,00. La piattaforma si riserva di variare il sold out in alto o in basso a seconda delle specifiche esigenze produttive di un particolare progetto. Gli scouts possono microfinanziare più artisti, con i quali interagiscono attraverso la piattaforma, e non sono indicati limiti relativamente al numero di quote acquistabili per uno stesso artista. Come avviene negli altri siti, finché non viene raggiunto il sold out gli utenti possono spostare in qualsiasi momento da un un’artista all’altro le quote investite, mentre le proposte rimangono sul sito per un minimo di 12 mesi.
Decurtato un fee del 5%, che la piattaforma trattiene per il servizio, i fondi raggiunti vengono destinati principalmente alla registrazione, curata da Sold Out Music attraverso un rete di società e agenzie convenzionate che forniscono prestazioni a costi ridotti, mentre l’eventuale residuo viene investito nella promozione secondo modalità stabilite dalla piattaforma. Sold Out Music si riserva anche la facoltà di decidere se stampare e distribuire l’album su supporto fisico. Al raggiungimento del sold out l’artista sottoscrive con la società che gestisce la piattaforma un contratto fonografico e uno di edizione musicale, che stabiliscono la ripartizione dei proventi e sanciscono la cessione in esclusiva alla piattaforma di tutti i diritti di sfruttamento economico sia delle composizioni che delle registrazioni, per tutta la durata legale di tali diritti, oltre alla licenza per lo sfruttamento del nome e dell’immagine e di quella (non esclusiva) per il merchandising (per il periodo in cui l’album rimane pubblicato sul sito). L’album realizzato viene tenuto almeno per un anno su una pagina apposita, che può contenere inserzioni pubblicitarie, e distribuito in dowloading gratuito fra i finanziatori e in streaming e in downloading a pagamento per tutti gli altri utenti del sito, sempre al prezzo di 5€. All’artista spettano un terzo dei ricavi netti derivanti sia dalla pubblicità presente nella pagina dell’album, sia dal downloading a pagamento, a cui possono aggiungersi il 20% dei ricavi netti derivanti da eventuale distribuzione, una royalty del 5% sul prezzo di copertina di eventuali supporti, il 15% dall’eventuale merchandising, oltre a 5 download gratuiti dell’album. Agli scout, per ogni quota acquistata, spettano un download gratuito dell’album (i 5 euro corrispondono dunque al pagamento anticipato di una copia), più un terzo dei ricavi generati sia dalla pubblicità presente sulla pagina dell’album che dai download a pagamento, suddivisi fra i finanziatori in misura proporzionale al numero di quote.
Sold Out Music, online da Febbraio 2008, ha ottenuto un buon eco mediatico, in quanto prima piattaforma italiana ad aver sperimentato questo modello, ha partecipato all’ultimo MEI e ha organizzato concerti con alcuni degli artisti che hanno proposto i loro progetti. Ciononostante il sistema di microfinanziamento non ha prodotto i risultati sperati. A dispetto dei circa 100 artisti e 600 utenti registrati (non tutti scout però), il fund raising si è fermato a cifre notevolmente distanti dall’obiettivo di 20.000€. Poche le quote versate, perlopiù dagli amici dei singoli proponenti. Per questo motivo anche Sold Out Music sta attualmente pensando ad un restyling e a un vero e proprio riposizionamento, mantenendo il meccanismo di ritorno economico sugli investimenti ma senza puntare su di esso come principale fulcro d’attrazione ed elemento identificativo della piattaforma. Senza, cioè, promuoversi come realtà in grado di offrire un guadagno per l’attività di scouting e finanziamento svolte dagli utenti.
Nel prossimo e ultimo post intendo sviluppare alcune considerazioni sul crowdfunding musicale a partire da come viene implementato nei casi esaminati in questo e nel post precedente
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