In attesa di fuoriuscire definitivamente dal periodo caldo (in ogni senso) di fine a.a. (esami, tesi, riunioni, ecc…), ecco una piccola sintesi di alcuni report sul mercato musicale pubblicati di recente.
La Nielsen ci dice che nel 2008 la percentuale di “nuove uscite” all’interno del totale degli album venduti è la più bassa degli ultimi venti anni (35%). Non solo: il ristretto mercato delle nuove uscite si è concentrato (82%) su un numero molto ristretto di esse (950 su 105.000 nuovi titoli, ossia circa lo 0,9%). Ovviamente gli album di catalogo costituiscono un fetta di mercato più ampia, così come il mercato delle tracce singole è costituito per il 40% di tracce uscite fra 2007 e 2008 e per il 60% da singoli di catalogo. Nell’insieme i dati sembrano confermare due trend evidenti già da un po’: il progressivo spostamento del mercato dagli album ai singoli e il fatto che i vasti cataloghi dei negozi digitali hanno sì sdoganato le nicchie, la coda lunga, ma con il risultato di incentivare lo sfruttamento intensivo del catalogo, analogamente a quanto accaduto con il cd, più che di favore l’emergere di nuovi artisti e prodotti. Almeno per ora. Nel frattempo il (piccolo) mercato delle nuove uscite è ancora caratterizzato dall’enorme successo di un numero molto ristretto di titoli.
Lo stesso rapporto della Nielsen evidenzia la rapida scomparsa dei punti vendita tradizionali: nel 2001 il 68% di tutti gli acquisti avvenivano in negozi tradizionali, nel 2009 la percentuale è scesa al 39%. Di progressiva scomparsa dei dischi si è recentemente parlato anche nella mailing list della IASPM italiana, a partire da un post sul blog di Franco Fabbri. In realtà le osservazioni di Fabbri vanno al di là delle considerazioni sui supporti e toccano il generale ridimensionamento del mercato musicale a causa della crescente competizione con altre tecnologie che coagulano bisogni sociali, creativi e di intrattenimento (su tutti, a giudicare dai dati, i videogiochi), per concludere che “gli anni che i discografici ancora mitizzano (e nei quali, bisogna dirlo, si vendevano molti meno supporti fonografici di oggi) […] non torneranno più, cari discografici, neanche se un governo compiacente mettesse un poliziotto vicino al computer di ogni possibile downloader”.
(Il grafico, usato dallo stesso Fabbri, è ripreso da un articolo del Guardian, significativamente intitolato "Are downloads really killing the music industry? Or is it something else?")
Nonostante la crisi del supporto, secondo i dati della British Phonographic Industry, da Marzo 2008 a Marzo 2009 le vendite di CD hanno rappresentato approssimativamente l’86% dei ricavi complessivi del comparto fonografico britannico, contro il 14% derivante dal download digitale.
Un’altra ricerca, svolta dalla PRS in UK, segnala un aumento complessivo del 4,7% dei ricavi dell’industria musicale britannica. In particolare, sono aumentati del 3% i ricavi dei B2C, che costituiscono i tre quarti del totale, mentre i ricavi dal B2B (quindi licensing diretto e collettivo, advertising, sponsorizzazione) sono cresciuti del 10%, contribuendo quindi al restante 25% delle entrate del settore. A ciò si aggiunge la crescita del live, trainata però soprattutto da star consolidate, come Police e Neil Young. Peraltro questi dati vanno considerati nel contesto di un forte rallentamento globale nella crescita complessiva dei ricavi dei settori dei media digitali (dal 6,6% del primo quarto 2008 allo 0,9% del primo quarto del 2009). In questa congiuntura i modelli basati sulle entrate dai consumatori stanno risultando più solidi ed elastici di quelli imperniati sull’advertising.
Una terza ricerca, sempre riferita al Regno Unito, indica una netta diminuzione del file-sharing illegale, in particolare nella fascia d’età 14-18 anni. Parallelamente cresce il successo dei servizi legali, in particolare quelli di streaming. Inoltre la quota di appassionati che acquista legalmente singole tracce ha superato il numero di coloro che le scaricano legalmente (19% contro il 13%), mentre rimane più elevata la percentuale di chi condivide album illegalmente rispetto quanti acquistano album in formato digitale (13% contro il 10%).
*** AGGIORNAMENTO DEL 27/07 ***
Come al solito… giusto il giorno dopo aver pubblicato questo post mi è capitato sotto gli occhi la sintesi di nuovo report della CISAC che imponeva un aggiornamento, con tanto di modifica al titolo. Infatti nel 2007 il collecting globale delle royalties sui diritti spettanti agli autori ha raggiunto il più alto livello di sempre (7.141 bilioni di euro), con un incremento del 4,2% rispetto al 2006 e quasi doppio rispetto al 1996. Tutto ciò nonostante le royalties da diritti fonomeccanici diminuiscano ogni anno. Questi risultati sono il frutto della notevole intensificazione delle attività di licensing dei diritti a livello mondiale, in particolare del licensing rivolto a media nuovi e tradizionali. Anche in questo caso, quindi, dal B2C al B2B. I maggiori aumenti riguardano infatti le royalties da performance al pubblico, delle quali -nel 2007- il 24% derivava dalla televisione, il 19,3% dal comparto fonografico, il 18,4% dalla radio, il 13% dal live. La rilevanza della creatività musicale per l’economia di diverse industrie culturali continua quindi ad essere ratificata attraverso l’istituto della proprietà intellettuale, tutt’altro che indebolito almeno sul piano dei numeri. Sta aumentando questa rilevanza o solo la pressione delle istituzioni musicali perché venga adeguatamente riconosciuta?
Molto utile, anche se a prima vista non mi risulta facilissimo leggere i dati. Bisogna pensarci: intanto grazie.
Posted by: Alberto Cottica | 08/02/2009 at 11:23 PM