In occasione del convegno della IASPM a Liverpool, dove ho presentato un paper sul crowdfunding, Jacopo Tomatis mi ha segnalato il sito Bandstocks, al quale aveva dedicato un articolo sul Giornale della Musica. Bandstocks è una piattaforma inglese di crowdfunding musicale gestita dalla compagnia Civilian Industries e ideata da professionisti del settore con esperienze di alto profilo nell’ambito della contrattualistica, dello scouting, del management artistico e dell’editoria. All’argomento ho già dedicato anche altri post (1, 2 e 3), evidenziando come alcune piattaforme si considerino delle etichette (es. MyMajorCompany) mentre altre prendano più decisamente le distanze dal modello tradizionale di impresa fonografica. Bandstocks rientra in questa seconda categoria, definendosi come servizio di supporto ai musicisti sia per l’attività di fund raising volta al finanziamento di un progetto fonografico, sia per il suo successivo sfruttamento commerciale. La mission dichiarata consiste nell’offrire agli artisti un opportunità di maggiore controllo sui loro progetti e sulle loro carriere (e ai fan la possibilità di giocare un ruolo nella selezione delle produzioni musicali).
Il funzionamento è in parte analogo a quello di alcune piattaforme considerate nei post precedenti. I progetti caricati sul sito vengono inizialmente sottoposti alla votazione da parte degli utenti. Quelli che raggiungono un numero sufficiente di voti passano alla fase successiva di raccolta fondi, che ha luogo attraverso la vendita agli utenti di “loan stocks”. Sostanzialmente, in cambio di prestiti necessari a finanziare l’album, gli utenti acquisiscono azioni temporanee nella compagnia che si occuperà del suo sfruttamento commerciale. Uno stock costa 10 sterline e gli artisti possono decidere autonomamente a quale fra quattro obiettivi mirare: 25.000, 50.000, 75.000 o 100.000 sterline (anche di più a fronte di una fanbase che lo giustifichi). I voti necessari a passare dalla prima alla seconda fase sono calcolati in base all’obiettivo economico ed equivalgono a metà del numero di stocks che devono essere venduti per raggiungerlo; quindi, ad esempio, per accedere alla seconda fase, un progetto che punti a raccogliere 50.000£ deve ottenere 2.500 voti (ovviamente ogni utente può votare una sola volta e solo dopo aver ascoltato la musica in streaming). Mentre i musicisti che promuovono il proprio progetto possono risiedere ovunque, gli stock possono essere acquistati esclusivamente da residenti nel Regno Unito.
Raggiunto l’obiettivo economico si procede alla produzione dell’album, lasciando libertà ai musicisti di scegliersi produttori e studio, con il solo vincolo del budget a disposizione. La piattaforma offre comunque la propria consulenza o un ventaglio di opzioni laddove richiesto. Bandstock può contare su convenzioni con servizi di distribuzione fisica e digitale, nonché per la produzione di vinili, oltre a tenere rapporti con le major per sostenere alcuni dei progetti finanziati laddove ritenuto utile. Il copyright sul prodotto fonografico è detenuto in comproprietà per cinque anni fra il musicista e la nuova “Albumco”, sussidiaria della Civilian Industries appositamente creata per lo sfruttamento commerciale dello specifico album, dopodiché ritorna interamente all’artista. In questi cinque anni alla compagnia spettano i diritti esclusivi di sfruttamento primario dell’album, mentre all’artista rimangono tutte le forme di sfruttamento secondario. Analogamente la compagnia non avanza alcuna pretesa sui diritti di edizione, di merchandising o sugli introiti dal live. Al momento di sottoscrivere il contratto il musicista può inoltre stabilire il territorio per cui vengono ceduti i diritti di sfruttamento ad “Albumco” (tre opzioni: tutto il mondo, il mondo ad esclusione di USA e Canada, solo Europa, fermo restando la possibilità di richiedere e concordare con Bandstock una opzione diversa da queste). Mentre in tutti gli altri casi di crowdfunding i contratti non sembrano negoziabili (si tratta in genere di standard caricati sul sito che l’artista si limita a rinviare firmati), Bandstock si dichiara disposta a considerare richieste argomentate di variazioni.
All’artista spetta il 50% dei ricavi netti generati dall’album. Anche agli utenti/investitori spetta per i primi cinque anni una percentuale sui ricavi netti (ad essi è destinato complessivamente il 30%, suddiviso in base alla percentuale di stocks acquisiti da ciascuno), in aggiunta all’accreditamento sull’album e sul sito, al download gratuito dell’album, a sconti sull’acquisto di edizioni speciali limitate, all’accesso alla sezione web dedicata al “dietro le quinte” del progetto e all’interazione diretta con l’artista, a vari privilegi (es. biglietti omaggio per i concerti, ecc..).
Come nei casi già illustrati, il modello di business della piattaforma è basato su diversi introiti: una commissione del 5% sui fondi raccolti e il 20% dei ricavi netti dallo sfruttamento dell’album, oltre agli interessi sulle somme presenti negli account degli utenti/investitori e a potenziali ricavi da advertising e merchandising (relativo al sito, non al gruppo).
Fin qui, dunque, non sembra esserci molto di diverso. Perché allora dedicargli un nuovo post? A parte l’utilità di aggiornare il precedente elenco segnalando una piattaforma che sta ottenendo importanti riscontri, ci si sono in effetti alcune differenze. Anzitutto l’abbondanza di dettagli e spiegazioni sul modo di funzionamento della piattaforma e l’estrema trasparenza circa la logica e le motivazioni su cui si basa il modello. Ad esempio, riguardo alla scelta - sempre un po’ ambigua - di strutturare i finanziamenti in forma di investimenti anziché semplici donazioni, Bandstock è l’unica a raccomandare esplicitamente agli utenti di non acquistare “stocks” con l’obiettivo di guadagnarci ma solo perché apprezzano l’artista. Secondo: la piattaforma non solo incoraggia il proprio uso da parte di artisti affermati ma si impegna attivamente per ospitarne i progetti. Emblematico in tal senso il caso di Patrick Wolf, icona della comunità gay londinese con tre dischi alle spalle, il quale dopo il penultimo album con la Universal si è convinto a finanziare il nuovo The Bachelor tramite Bandstock, col risultato di raccogliere 100.000 sterline in pochi mesi. Altrettanto esplicitamente, quindi, la piattaforma vuole essere considerata non come una sorta di “ultima spiaggia” per i giovani musicisti ignorati dal sistema tradizionale ma come una valida alternativa per musicisti che hanno una scelta e che potrebbero accordarsi con una major. Dunque una differenza in termini del target di artisti a cui è rivolto il servizio (solo di recente altre piattaforme, come Sellaband, si sono mosse in questa direzione). Si collocano in quest’ottica il rapporto con altre imprese e investitori professionali disponibili ad acquistare un ampio numero di stocks per contribuire al finanziamento dei progetti più ambiziosi di artisti noti (ai quali è concesso saltare la prima fase di votazione), in cambio di ulteriori diritti e opportunità di investimento offerte da Civilian Industries e dai suoi partner.
La stessa trasparenza ha indotto Bandstocks a confrontarsi esplicitamente con una critica ricorrente verso questo genere di piattaforme: l’essere in realtà etichette “travestite”, che a differenza però di quelle tradizionali non investono (e rischiano) direttamente i propri soldi ma finanziano le produzioni con quelli dei fan, traendone comunque dei benefici economici in caso di successo. Ebbene, i creatori di Bandstocks ammettono che è corretto sostenere che siano i fan a farsi carico del rischio d’impresa, mettendoci i soldi, tuttavia cercano anche di spiegare la logica che a loro avviso giustifica e rende accettabile questo modello. Per non puntare solo al mercato dei giovani musicisti sconosciuti, meno attraente sia per la piattaforma che per gli utenti, è necessario essere competitivi con le etichette tradizionali agli occhi degli artisti affermati, e l’unico modo per riuscirvi consiste nel proporre contratti particolarmente favorevoli. Questa possibilità sarebbe però legata alla riduzione del rischio d’impresa, distribuendolo su un ampio numero di microinvestitori che si pongano come obiettivo non tanto il guadagno quanto il desiderio di sostenere qualcosa ritenuto meritevole (oltre che alle gratificazioni più o meno simboliche comunque garantite). Al contrario, il tradizionale investimento diretto di un’etichetta si traduce in un rischio più grande che l’impresa è disposta a correre solo in cambio di un maggior numero di diritti e una maggiore percentuale sui guadagni. Inoltre, in questi casi, il rischio più grande implica anche una maggiore selettività sui progetti, mentre il crowdfunding sposta buona parte della funzione di gatekeeping nelle mani degli utenti. Buona parte, nel caso di Bandstock, in quanto la piattaforma propone solo progetti che presentano dei requisiti minimi di qualità e che sono ritenuti in grado di raccogliere i fondi necessari in un periodo relativamente breve di tempo. Bandstock sostiene, non a torto, che è molto difficile trovare cose decenti nella maggior parte delle piattaforme dedicate unicamente a giovani sconosciuti, pertanto viene preferita una politica del “meglio pochi ma che valga la pena ascoltare”.
Le differenze principali consistono quindi nel modo in cui Bandstock si presenta, nell’approccio con gli artisti e gli utenti, nei tentativi di rendere più flessibile e trasparente il modello. Anche qui mi sembra però di vedere un’ambiguità di fondo: da un lato si invitano gli utenti a non investire inseguendo un guadagno, dall’altro il meccanismo di microinvestimento è giustificato dal riuscire a portare sulla piattaforma i progetti di grandi artisti che possano garantire un rientro significativo sugli investimenti. Inoltre vale la pena osservare come la retorica di fondo che accomuna tutti gli esperimenti di crowdfunding sia comunque simile: contribuire a costruire un sistema migliore per gli artisti, più equo e con maggiori opportunità. Se gli artisti costituiscano davvero la preoccupazione al centro della sperimentazione di nuovi modelli o rappresentino un pretesto di legittimazione per nuovi tipi di intermediari con il pubblico non è dato sapere…
** Grazie a Jacopo**
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