“Dal possesso all’accesso” è la formula con cui viene
spesso sintetizzato uno dei trend chiave delle attuali trasformazioni del
sistema e delle pratiche di fruizione musicale. Diverse immagini e metafore
sono state usate per prefigurare l’approdo di tale tendenza: dal celestial jukebox di Paul Goldstein alla
music-like-water di Kusek e Leonhard.
Oggi che gli scenari vanno prendendo una forma via via sempre più concreta
–sebbene sia ancora da vedere in quali declinazioni si istituzionalizzerà questo
slittamento di paradigma- il termine più in voga è cloud music. Ricordate la nuvoletta “personale” che seguiva ovunque
il povero Fantozzi? Ebbene, l’idea è che presto diventerà consuetudine avere
ognuno una propria nuvoletta che ci segue e che raccoglie contenuti media e
strumenti software a cui possiamo accedere in ogni momento da ogni luogo.
Ovviamente la metafora della “cloud” non deriva dal film ma da una delle
accezioni del cloud computing, ovvero
dalla disponibilità di piattaforme internet strutturate come servizi che consentono di utilizzare dei
programmi per svolgere diverse attività e/o di accedere a delle libraries di
cui gestire e/o fruire i contenuti. In altri termini sta accadendo in ambito
musicale qualcosa di analogo alla progressiva transizione dalle applicazioni
desktop ai web-services: proliferano i servizi in cui tanto i file musicali
quanto i software per l’ascolto non risiedono più sui terminali posseduti
–computer o dispositivi portatili di vario genere- ma sulla piattaforma
accessibile tramite browser.
L’espressione cloud
music è salita alla ribalta soprattutto nell’ultimo anno e mezzo con
l’esplosione di servizi e modelli di business che hanno puntato sullo streaming
on-demand: Imeem, Spotify, Lala, Grooveshark, per citare solo i più noti, ai
quali va aggiunto l’ultimo nato, la nuova versione “all access” di MOG. Peraltro
il termine si trova a volte esteso anche a servizi di streaming esistenti da
più tempo, come ad esempio Rhapsody.
Anzitutto
una breve panoramica.
Imeem è stata une
delle prime piattaforme a sperimentare il modello di streaming musicale
supportato dalla pubblicità e gratuito per gli utenti, nonché a creare un
widget-player embeddabile all’interno di blog e social network (inclusi MySpace
e Facebook). In realtà il modello di business di Imeem prevedeva anche un servizio
premium tramite abbonamento, più la vendita di download e suonerie tramite
partner affiliati. Oltre allo streaming, Imeem consentiva di editare e
condividere delle playlist usando sia i brani disponibili sul sito, sia brani
uploadati dall’utente, fino ad un massimo di 100 (ad esempio musiche acquisite
in precedenza tramite iTunes). Il servizio premium consisteva in abbonamenti a
prezzi differenziati che permettevano di aumentare il numero di upload
consentiti (fino a 20.000). Imeem ha anche sviluppato delle applicazioni per
utilizzare il servizio sulle piattaforme mobile Android e iPhone. Ad esempio la
sua iPhone App consentiva agli utenti di archiviare e categorizzare 100 canzoni
gratuitamente o 80 Giga per 100$ all’anno (servizio premium)
Spotify è un
servizio di streaming lanciato in Europa nel 2008. Anch’esso consente di
editare playlist attingendo ai brani nella library, di condividerle eventualmente
su applicazioni esterne alla piattaforma, ed ha sviluppato applicazioni per IPhone,
Android e Simbian, che permettono di usufruire del servizio streaming tramite
mobile. Anche in questo caso il modello di business è freemium, in quanto è possibile accedere al servizio tramite
account gratuito o a pagamento: il primo implica la presenza saltuaria di spot
negli intervalli fra le canzoni, mentre la versione premium da 10€ al mese è
priva di pubblicità e offre stream di qualità più alta. Inoltre gli utenti
premium hanno accesso ad anteprime di brani non ancora disponibili agli utenti
“free”. E’ anche possibile l’acquisto di download tramite retailer partner del
sito.
Rispetto a questi servizi la grande novità di Lala è consistita anzitutto nel
modificare il modello di business: niente pubblicità, né abbonamento, ma pay-per-unit. Ogni brano del database
può essere ascoltato una prima volta gratuitamente, dopodiché si possono pagare
10 cent x aggiungere una “web-song” alla propria collezione residente su Lala -
ossia per acquisire il diritto a fruire una certa canzone in streaming ogni
volta che si desidera - oppure un prezzo variabile (fra 69c e 1.29$) per il
download drm-free (in questo caso il brano viene ovviamente archiviato anche nella
propria cloud per lo streaming on-demand). Inoltre è possibile uploadare sui
server del sito qualsiasi file musicale già posseduto, in modo da poterli
riascoltare in streaming da qualsiasi terminale dotato di browser.
Grooveshark utilizza
un’architettura P2P per la condivisione dei brani degli utenti, resi
accessibili in streaming gratuito nella versione con visual ads mentre le
versione premium senza pubblicità ha un costo mensile di 3$. I link agli stream
possono essere condivisi anche su altri social network grazie al widget player.
E’ Inoltre possibile acquistare le tracce in download e qui risiede una
particolarità del sito: tolto quanto spetta agli aventi diritto, ciò che rimane
del prezzo d’acquisto (99 cent) viene ripartito fra piattaforma e utente che ha
condiviso il file. Tuttavia in alcune occasioni Grooveshark ha avuto problemi
con alcune etichette (e relative associazioni di categoria) per mancati accordi
di licensing (e relativo compenso agli aventi diritto). Un’altra peculiarità di
Grooveshark consiste nella necessità di installare sul desktop una applicazione
proprietaria per usufruire del servizio.
Infine Mog,
con il nuovo servizio “all access”, si è ha trasformato da social network
incentrato sulla musica in piattaforma di streaming on-demand. Il modello di
business non fa affidamento sulla pubblicità, quindi né ad-based né freemium: è
necessario pagare un abbonamento di 5$ al mese. Mog rappresenta probabilmente
lo stato dell’arte riguardo all’integrazione fra music streaming, blogging e
social networking, con opzioni simili a quelle degli altri servizi ma declinate
in modo ancora più efficace e perfezionato: personalizzazione e condivisione di
playlist, sistemi di filtri e di raccomandazioni per la scoperta e
l’esplorazione di nuova musica (in stile Pandora), meccanismi efficienti di
ricerca, disponibilità dei testi delle canzoni, sviluppo di applicazioni mobile
di cui è prossimo il lancio.
Due ordini
di osservazioni.
La prima riguarda il termine cloud music, il quale, come
spesso accade a quelli che divengono improvvisamente di moda, viene usato in
riferimento a servizi simili ma non uguali, col risultato di sminuirne le
differenze, inclusa una a mio avviso rilevante: da un lato i vari servizi di
streaming on-demand, dall’altro le piattaforme che implementano questo servizio
con la possibilità di uploadare la propria collezione. E’ fra i secondi che si
manifesta in modo più radicale la tendenza allo slittamento dalla musica
residente su memorie di proprietà dell’utente alla cloud music. Peraltro l’idea
di cloud music ridefinisce anche quella di collezione personale. Una delle
funzioni tradizionali delle collezioni è di essere esposte come segno di
identità; ora la collocazione in ambiente web cambia le modalità di
esposizione, incidendo sull’uso dei consumi musicali in chiave comunicativa. Le
collezioni divengono da un lato intangibili, dall’altro condivisibili in misura
(quantitativamente) più ampia e in modi (qualitativamente) più flessibili,
soprattutto in forma di playlist personali facilmente e continuamente
editabili. Lo scenario della cloud music non è definito solo dall’accesso alla fruizione in streaming
della propria library o di qualsiasi contenuto di un database più o meno
esaustivo ma anche dalle possibilità di scoperta, gestione, manipolazione e
condivisione dei contenuti; dal grado di libertà, flessibilità e
personalizzazione consentita agli utenti nell’ambito di tali attività; dal
grado di integrazione con altre piattaforme e dispositivi. E’ dunque sulle
caratteristiche del servizio, oltre che sul modello di business, che si gioca
la competizione.
Ma ovviamente conta anche il modello di business. A
questo proposito, le piattaforme più recenti tendono a tornare a modelli a
pagamento, dopo la fase di esplosione del freemium e del free supportato dalla
pubblicità. Le valutazioni più recenti tendono infatti a criticare la
sostenibilità di questi modelli, nonostante forse la congiuntura economica non
sia la più appropriata per valutare le potenzialità di modelli dipendenti dalla
pubblicità. Imeem è stato appena acquistato da MySpace Music, Spotify non
sembra versare in buone condizioni ed è stato al centro di alcune polemiche per
gli scarsi profitti portati ad artisti ed etichette indipendenti (sebbene non
manchino anche indicazioni contrarie che sottolineano invece la crescita del
servizio). Per la verità anche Lala è appena passato di mano, acquistato da
Apple: da qui le speculazioni riguardanti l’imminente integrazione di i-Tunes
con servizi di streaming on-demand e la virata verso l’opzione cloud music che
sopperirebbe ai limiti di memoria di iPhone iPodTouch. Anche le streaming radio
che consentono il playlist sharing, come Pandora e Last FM, sembrerebbero
vivere difficoltà analoghe, sebbene in modo più attutito grazie al minor costo
delle licenze. Alcune analisi riportano infatti come le royalties dovute dai siti
di streaming musicale on-demand agli aventi diritto siano generalmente più
alte, in quanto la possibilità di streaming illimitato di un brano viene
considerato equivalente e sostitutivo al suo acquisto; al contrario, i servizi
che non consentono la fruizione on-demand ma solo la condivisione di playlist
generate attraverso le preferenze espresse dagli utenti sulla musica
“trasmessa” sono considerati webcaster, ai quali vengono applicate licenze meno
care. Pandora non offre la possibilità di ascoltare solo brani di uno stesso
artista, in quanto ciò modificherebbe la natura del servizio, da webradio a
streaming on-demand, e conseguentemente la licenza necessaria.
Un’ultima cosa interessante è che il fenomeno in
espansione della musica in streaming si appresta a varcare i confini delle
piattaforme web e mobile per approdare su televisori HD, players Blu-Ray e
autoradio. Sia Pandora che Spotify starebbero per lanciare applicazioni che
consentono lo streaming dei canali personalizzati nel salotto di casa. Inoltre Pandora
e Pioneer stanno collaborando ad un sistema per automobile che permetterebbe,
tramite la connessione con un iPhone, di accedere all’account e agli stream. La
nuvoletta che ci segue anche mentre guidiamo la nostra auto…
Grazie per l'interessantissimo articolo che personalmente ha svecchiato la mia idea di fruizione e distribuzione musicale. Resta un po' complesso capire la differenza tra servizi che tali piattaforme forniscono sia dal punto di vista di chi ascolta che di chi produce.
Da ascoltatore di last fm, inoltre, rilevo una certa difficolta' d'orientamento in questo social network e mi piacerebbe capire se la difficolta' risiede nella complessita' del meccanismo o nel poco investimento che su questo strumento e' stato fatto dopo la sua nascita.
Posted by: Jacopo Cecchi | 01/11/2010 at 05:47 PM
Ciao Jacopo, grazie dell'interessamento.
Alcune delle differenze principali ho cercato di sintetizzarle nel post (il modello di business, il tipo di servizio e di opzioni che offrono ai fruitori), tuttavia è chiaro che ci sono anche differenze in termini di usabilità, user experience, ecc... che richiederebbero un'analisi più minuziosa. Se per "punto di vista di chi produce" intendi etichette e/o artisti lì le differenze riguardano i cataloghi resi disponibili e soprattutto il tipo di accordo economico per le licenze.
Mi interesserebbe invece capire meglio quali sono le difficoltà e la complessità a cui fai riferimento parlando di Last FM, sul quale mi capita di ascoltare pareri e valutazioni differenti.
Ciao
Francesco
Posted by: Francesco | 01/11/2010 at 09:50 PM
Il problema maggiore in Italia credo resti la siae maledetta. Qualcuno ha _ben_ chiaro come ci si comporta nei sui confronti se si cerca di distribuire del materiale proprio con questi servizi?
Posted by: g | 07/05/2010 at 02:15 PM