Solo una breve nota per chiarire un punto espresso in modo non corretto all’interno dell’articolo del Sole24Ore intitolato “Per la cultura fondi fai-da-web”, dovuto certamente a una incomprensione.
L’articolo riporta contenuti di una breve intervista col sottoscritto, in cui facevo riferimento ad alcuni risultati emersi da una ricerca che sto conducendo sul crowdfunding per produzioni culturali:
Francesco D'Amato, docente al master in Industria musicale della Sapienza di Roma, spiega che gli incentivi per i finanziatori di un progetto culturale sono «il prestigio del proponente, la partecipazione diretta al processo creativo e la modalità rapida di accesso»
Per l’esattezza, ciò che ho segnalato è che uno dei criteri di distinzione delle campagne di crowdfunding consiste nella presenza o meno di incentivi non economici alla donazione, facenti quindi leva su motivazioni diverse dalla prospettiva di possibili guadagni. Tali incentivi possono essere ricondotti principalmente a quattro aree:
- riconoscimento e prestigio sociale, ossia il prestigio e il riconoscimento derivanti dall’essere accreditati come produttori, sponsor, mecenati, ecc… (Non dunque il riconoscimento e il prestigio sociale del proponente!)
- accesso al processo creativo
- partecipazione al processo creativo (due cose ben diverse, sebbene spesso nella retorica 2.0 “accesso” venga automaticamente assimilato a “partecipazione”)
- rapporti privilegiati con i richiedenti (che chiaramente tendono a risultare tanto più “incentivanti” quanto maggiore è la reputazione o la fama dei richiedenti)
La modalità rapida di accesso non è stata invece menzionata (non saprei dire a cosa potesse essere riferita).