Uno degli argomenti più dibattuti quest’anno da osservatori e professionisti del settore musicale ha riguardato il lancio e le prospettive di crescita dei servizi di cloud music.
A gennaio Sony ha esteso il servizio Music Unlimited a diversi paesi europei. A marzo Amazon ha lanciato gli strumenti Cloud Music Player e Cloud Drive, che consentono di uploadare le proprie collezioni e riascoltarle tramite browser internet o app android (mentre l’integrazione con l’Amazon Store rende non necessario l’uploading degli MP3 acquistati); le tariffe del servizio si differenziano in base allo spazio di archiviazione. A Maggio la versione beta di Google Music, che consentiva di ascoltare in streaming via web o app android solo la propria musica, in mancanza di accordi con le etichette. A Novembre il lancio di iTunes Match: senza bisogno dell’uploading il programma analizza i file musicali presenti sui supporti di archiviazione dell’utente e consente lo streaming dai server Apple dei brani riconosciuti: non solo di quelli acquistati legalmente su iTunes ma anche di quelli acquisiti tramite masterizzazioni e file-sharing, il tutto per 24,99$ al mese (entro un entro un limite di 25.000 brani per quelli non acquistati su iTunes, mentre per questi il servizio è gratuito, e se le canzoni non sono disponibili nella libreria iTunes è possibile uploadarle).
Contestualmente Google Music ha ampliato il proprio servizio integrando la vendita di musica digitale tramite Android Market: i brani risiedono sulla propria “cloud” personale e possono essere ascoltati su qualsiasi dispositivo che consenta l’accesso ad essa. L’integrazione è frutto dell’accordo raggiunto con tre delle quattro major (esclusa al momento Warner) e diverse indipendenti. Su Google Music il back up della propria library è gratuito, inoltre ogni acquisto può essere condiviso una volta per l’ascolto con i propri contatti su Google+. Google ha anche annunciato l’offerta di un pacchetto di strumenti per i musicisti indipendenti, abilitati per 25$ a costruirsi il proprio negozio di musica digitale personale, una pagina web in cui vendere le proprie creazioni a un prezzo deciso autonomamente.
Si profila dunque una competizione fra Apple e Google nell’offerta di contenuti, in una fase di crescita costante del mercato di musica digitale (sebbene non con la rapidità auspicata da molti). Il modello di business Apple poggia sull’integrazione chiusa dei dispositivi che articolano il sistema: iTunes Match consente lo streaming solo su dispositivi Apple. Alle etichette andrà il 70% del ricavato del servizio. Il dato rilevante è che questo, per come è strutturato, consentirebbe di monetizzare anche contenuti musicali non acquistati legalmente.
Sebbene al momento tutti i player del settore scommettano sul futuro dei servizi di cloud music non mancano voci discordanti e perplessità, legate soprattutto alla possibile resistenza degli utenti all’idea di non avere la propria musica sui propri dispositivi. Ultimamente ho trovato citata, a sostegno di tali perplessità, una recente ricerca su consumatori statunitensi di musica online fra i 18 e i 64 anni, i cui risultati attestano una netta preferenza per l’acquisto di file “da possedere” rispetto alla fruizione di musica in streaming. I vantaggi percepiti consistono nella sicurezza (86%) e nella flessibilità (91%) che il possesso garantisce ai consumatori, mentre lo streaming viene considerato un utile strumento di scoperta e di testing per valutare se procedere o meno all’acquisto (76%), che in quanto tale dovrebbe essere gratuito. A parte il fatto che la ricerca è stata commissionata da eMusic, il cui modello è imperniato sul valore del downloading, il riferimento ad essa evidenzia qualche confusione sul concetto di cloud service, peraltro sempre più diffusi - ad esempio – in ambito software.
Anzitutto in nessun caso la musica è la “propria” in senso stretto, piuttosto i diritti e le possibilità di accesso e di utilizzo della musica rimangono le stesse sia per i file scaricati sui propri dispositivi che per quelli residenti su server remoti e collegati a un account personale. Il vantaggio su cui questi servizi fanno leva è proprio la flessibilità: non dover copiare continuamente i “propri” file da un dispositivo all’altro ma potervi accedere in qualsiasi momento da qualunque dispositivo. Il che sembra segnare anche il destino di un intero segmento di consumer electronics, ossia degli strumenti dedicati esclusivamente alla riproduzione e privi di connettività.
Se la flessibilità e la comodità di utilizzo costituiscono effettivamente une delle coordinate di sviluppo delle tecnologie per la fruizione di musica registrata, lungo tutta la loro storia, la scommessa sulla cloud sembra una scommessa sicura. Semmai l’ostacolo da superare, nonché uno degli aspetti su cui si giocherà la partita, riguardano la fiducia che è necessario conquistare per convincere i fruitori a dipendere da altri per l’utilizzo dei propri acquisti. Ovviamente l’altro aspetto cruciale concerne le modalità di gestione delle proprie libraries e cosa accade ad esse quando si decide di interrompere un servizio, magari per passare ad un altro.