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10/29/2012

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Mi pare che il sistema della ricompensa non riesca del tutto a ricalcare lo storytelling. Osservando quello che accade nell'underground mi pare che le tendenze dominanti siano due: sopravvalutare il proprio impatto e la propria notorieta' promettendo cose e prestazioni da band riconosciuta a livello internazionale o (seconda tendenza) compilare una lista di stranezze miste ad ironia che tende a sdrammatizzare (depotenziando) l'ipotetica forza degli incentivi.
Tanto in un caso che nell'altro i reward non producono un vero e proprio racconto quanto una "caricatura" (inconsapevole o consapevole) del gruppo.
A me pare che il meccanismo degli incentivi s'innesti invece in una sorta di dinamica "emozional/ricattatoria"; mi spiego.
Sono perfettamente d'accordo con l'ipotesi che il crowdfunding faccia leva sugli aspetti relazionali stretti che ruotano intorno alla vita di una band. Amici fisici e non virtuali costituiscono la base solida per un riuscito progetto di crowdfunding. Piu' la band e' "generosa" in termini di componenti piu' probabilita' ci sono che il progetto riesca. In altre parole mi pare che il progetto di crowdfunding sia direttamente proporzionale al numero di componenti della band.
Bene quindi.
Se riesco a spedire un mio caro amico sulla pagina del mio progetto egli pensara' di cavarsela con l'acquisto di una copia del mio cd. Essendo un mio caro amico l'acquistera' anche se la mia musica gli fa schifo. Ora giungendo sulla mia pagina si accorgera' invece di una sorta di trappola emotiva che gli ho teso; una sorta di messaggio subliminale mascherato da incentivo che lo "fara' sentire in obbligo" di acquistarne piu' di una copia. Insomma io penso al sistema di reward come ad un post-it emozionale, una bandierina, che ricorda ai miei amici che se sono tali devono contribuire alla mia campagna in modo piu' sostanziale.
Tanto vale allora essere "carogne" un po' ironiche ;)

Articolo molto interessante, ben fatto e ben esposto. Complimenti

Anzitutto grazie per i commenti e gli apprezzamenti. Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensano anche altre persone che hanno esperienza diretta o indiretta di crowdfunding per progetti culturali.
Rispondo a Cobol, con un bel po’ di ritardo perché trovare tempo per il blog, purtroppo, è spesso difficile. Mi sembra che siamo sostanzialmente d’accordo. In primo luogo è vero che i rewards non sono pensati in ottica di storytelling: sono spesso più o meno standardizzati, anche nelle versioni “personalizzate” per i finanziamenti più ricchi (es. la dedica di un brano o comporre un brano che parla del finanziatore), anziché pensati per comunicare qualcosa del musicista/gruppo, raccontarli, definirne gli interessi, promuoverne stile e personalità. Questa dovrebbe anzi essere la loro funzione principale, più che l’ipotetica “incentivazione al finanziamento/acquisto”, tanto più che da quello che ho potuto osservare, e qui mi discosto un po’ da quanto hai detto, i “true friends/fans” sono quelli che contribuiscono in modo sostanzioso alla campagna a prescindere da gratificazioni particolarmente originali o buffe. Non ho riscontri del fatto che gli amici stretti del creativo finanzino per cinque quote anziché tre per via del gadget corrispondente, piuttosto conta ciò che possono dare e sentono di dare. (ovviamente, se una quota = 1 cd, o altro, si aspettano 5 quote = 5 cd, o altro). D’altra parte, da Benkler a Howe, tutti insistono – in modo persino eccessivo – che sono le motivazioni intrinseche ad alimentare la maggior parte della collaborazione nei contesti di peer production e crowsdsourcing.
E’ vero anche che una band numerosa è evidentemente avvantaggiata rispetto al singolo musicista, tuttavia non direi che il goal finanziario o la sua raggiungibilità sono automaticamente e direttamente proporzionali al numero di componenti, bisogna considerare anche altri fattori. Se – ad esempio – il gruppo è composto da tre persone che si conoscono da una vita e sono cresciute assieme, il numero non fa grande differenza: è probabile che le cerchie di amici stretti – ossia, come abbiamo detto, il principale nucleo di finanziatori - si sovrappongono, quindi uno o tre cambia poco. E quindi torniamo al problema principale, che non è tanto massimizzare il sostegno dei true fans/friends con premi appropriati, quanto piuttosto riuscire a "muovere" (non semplicemente “agganciare”) quelli che stanno al di fuori di tale cerchie. Difficilmente motivabili dai premi, almeno del tipo che si vedono nel 99% delle campagne di giovani creativi poco conosciuti. Semmai, come insegnano gli studi sul capitale sociale, conta di più – ma è anche evidentemente più faticosa - una comunicazione personalizzata (questa come altre cose). Argomento ampio e complesso che magari, con il vostro aiuto, proverò a sviluppare un po’ alla volta in altri post, tempo permettendo…

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Continuate così, bravi!

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