“How Trent Reznor and Nine Inch Nails represent the future of music business” era il titolo di una relazione di Michael Masnick (CEO di Techdirt) presentata nel 2009 al Midem di Cannes.
Per Masnick le operazioni
promozionali e distributive di Reznor da artista indipendente, successive alla fine
del rapporto con la Interscope (gruppo Universal) nel 2007, esemplificano la
logica alla base dei nuovi modelli di business che abbracciano le possibilità
di condivisione e collaborazione offerte dalla rete: connect with fans + reason to buy.
Indubbiamente le
iniziative intraprese dalla seconda metà dello scorso decennio hanno portato a
considerare Reznor uno dei massimi esempi ed esponenti delle nuove opportunità
per il DIY nell’era del web partecipativo. Già dal 2005 Reznor ha alimentato un’ampia
comunità di fan dedita ai remix del gruppo, rilasciando i file sorgente dei
brani. Oltre ai remix ha incentivato le registrazioni dei concerti, raccolte
sul sito ufficiale, e l’interazione fra fan, sul sito e – più di recente - mediante
una app gratuita per iPhone che consente ai fan di localizzarsi e condividere
contenuti.
Nel 2008 ha pubblicato Ghosts
I-IV e The Slip in licenza
Creative Commons: il primo articolato in un capitolo scaricabile gratuitamente
(9 tracce delle 36 complessive) accompagnato da diverse edizioni del cd fisico
con contenuti aggiuntivi, di valore e prezzo diversi secondo una logica di
diversificazione “freemium”, le cui versioni limitate ultra-deluxe (2500
confezioni autografate a mano del costo di 300$) sono andate esaurite in 30
ore; il secondo reso disponibile in modo totalmente gratuito in ottica di
promozione dei concerti: in cambio del download veniva richiesto solo l’indirizzo
di posta elettronica, usato per comunicazioni e promozioni riguardanti il tour,
annunciato lo stesso giorno dell’uscita dell’album. Tour risultato poi sold
out. Reznor ha inoltre sperimentato diverse modalità di promozione non
convenzionale, come l’alternate reality game per Year Zero.
Tutto questo in aperto contrasto con il modus operandi delle major, in particolare della Universal, pesantemente attaccata nel 2007 per le politiche di pricing e distribuzione riguardanti proprio l’album dei NIN Year Zero, con tanto di invito ai fan a scaricare illegalmente la musica.
Queste e altre operazioni hanno contribuito ad alimentare il dibattito sul futuro dell’industria musicale. Sia insider che accademici si sono interrogati su quanto i riscontri ottenuti da Reznor, o dai Radiohead con In Rainbows, segnalino delle opportunità generalizzate all’interno dei nuovi scenari della (auto-)produzione musicale o piuttosto una discriminante a favore di musicisti la cui notorietà e la cui fan-base si sono formate grazie ai tradizionali modelli di promozione e distribuzione coltivati dalle grandi etichette.
In ogni caso Radiohead a Reznor sono stati ampiamente utilizzati come argomento forte all’interno delle retoriche sulle opportunità del cosiddetto “DIY 2.0”, promosse da osservatori, autori di guide per il fai-da-te-tramite-web e nuovi intermediari, quali gli innumerevoli servizi online per il self-management e il self-marketing.
Fatto sta che una
settimana fa Reznor ha annunciato un ritorno alle major: un accordo con la
Columbia per l’uscita dell’album del suo nuovo gruppo “How to Destroy Angels”.
Non un accordo di fullrights management ma una partnership 50/50. Ancora non
sono chiare le motivazioni, al di là della constatazione che “le uscite
completamente indipendenti hanno grandi vantaggi ma anche degli svantaggi”.
Per ora l’unica certezza è il colpo alle “supporting evidence” utilizzate dai promotori di uno dei possibili futuri dell’industria musicale.
In effetti se non fosse che Reznor ha utilizzato l'argomento dell'autoproduzione in maniera "politica" probabilmente non ci sarebbe nulla di strano nel constatare che le scelte di mercato possono essere periodiche e oscillati: oggi da soli domani bene o male accompagnati. Di piu': rispetto all'autoproduzione d'un po' d'anni fa questo atteggiamento appare addirittura virtuoso avendo indicato (la definitiva?) separazione (ma ovviamente non proprio per tutti) tra autoproduzione e regno della necessita', per molti, d'essere indipendenti non per scelta ma per inevitabili circostanze esistenziali.
Forse e' addirittura giusto che dopo aver dato il "buon esempio" una band di successo torni a giocare sul terreno che le e' piu' proprio: quello delle multinazionali.
Resta la considerazione che forse anche questo "nuovo" respiro dell'autoproduzione, questa nuova via, ha nella cultura del pubblico (nella limitata fiducia del pubblico verso la scelta dell'essere indipendenti), il fiato un po' corto.
Posted by: Cobol Pongide | 10/01/2012 at 05:04 PM