Da Billboard: sommando le visite ai video su YouTube dei brani musicali di una singola etichetta si scopre che fra quelle che ottengono il maggior successo non ci sono solo le major. La classifica vede in testa Sony e Universal, seguite da Hollywood Records e Ultra Records, mentre Warner ed EMI occupano la quinta e la sesta posizione. Mentre la Hollywood Records è un’etichetta di proprietà della Disney - e distribuita dalla Universal - che punta al mercato dei “tween”, la vera sorpresa è forse la Ultra Records, indipendente di musica elettronica.
I video stanno diventando una fonte di entrate per le etichette più di quanto non lo fossero in passato col mercato dei dvd musicali. Il rapporto del 2008 sull’Economia della Musica in Italia evidenziava come il pagamento dei diritti generato dagli stream gratuiti su Youtube era più che raddoppiato nel corso dell’ultimo anno, mentre il rapporto del 2009 segnalava un ulteriore aumento del 65% (arrivando a 1,51 milioni di euro).
Da almeno tre anni, da quando sono emersi dati che mostravano come i video musicali fossero di gran lunga i più popolari su You Tube, monetizzare la loro visione è diventato un imperativo per i produttori fonografici. E’ in quest’ottica che è stata lanciata pochi mesi fa Vevo, la nuova piattaforma nata dalla joint venture fra due major (Sony e Universal) e You Tube, specificamente dedicata ai videoclip professionali (niente UGC). Vevo nasce come piattaforma di distribuzione in esclusiva per video musicali di cui gestisce anche il licensing e la pubblicità connessa, offrendo spazi a CPM molto più alti - “premium rates per premium contents” - e girando una percentuale a Google. Per il futuro è previsto un ampliamento del servizio, che includa ad esempio la vendita di merchandise e di abbonamenti mensili per la visione in esclusiva di interi concerti. E’ interessante riportare il commento di Doug Morris, presidente e CEO della Universal, uno dei fondatori: “ciò che stiamo facendo è riprendere il controllo di ogni cosa… del nostro futuro… questa è davvero una versione potenziata di MTV… ma non dobbiamo più passare per un intermediario”. L’intermediazione è infatti il nodo del problema: nel momento in cui il B2C della musica registrata è in forte contrazione le etichette cercano di massimizzare il B2B, inclusi quegli utilizzi considerati una volta forme di promozione: concedere il passaggio dei video su MTV senza averne un rientro economico era giustificato dal rientro in chiave di visibilità. Ora le etichette provano a gestire una propria MTV su internet, proprio nel momento in cui MTV marginalizza la programmazione di videoclip per rivitalizzare un business in declino. L’idea alla base di Vevo è quindi che un più stretto e diretto controllo sui propri contenuti sia più redditizio del licenziarli. O del mettersi nelle mani dello Steve Jobs di turno e di un “iTunes Video”… Sembrerebbe tuttavia un tentativo analogo ad altri che si sono rivelati sistematicamente dei fallimenti, così come lascia perplessi l’idea di limitare la distribuzione di alcuni contenuti video ad una sola piattaforma.
Un ultima nota: ad Aprile risultava che Vevo avesse un numero di stream 10 volte superiore ai video sui siti degli artisti e delle etichette ma che questi fossero visti più a lungo: il 29% dei video musicali in streaming su pagine di musicisti ed etichette viene guardato per intero contro il 12% dei video sui servizi di video sharing.